Il “caso Sarlo” non finisce più: la MetroCity sospende la dirigente dal servizio per 4 mesi. “Condotta di corruzione” per ottenere incarichi e “denigrazione” della Pubblica amministrazione

sarlo alessandrodi Mario Meliadò - Sospesa dal servizio senza stipendio per quattro mesi: così ha deciso l'Upd (Ufficio procedimenti disciplinari presieduto dal dirigente Paolo Morisani) della Città metropolitana di Reggio Calabria rispetto ad Alessandra Sarlo, dirigente del settore Istruzione, Università e Ricerca a Palazzo Alvaro (e, in passato, tra l'altro dirigente generale del Dipartimento regionale Controlli, a cavallo tra il 2010 e il 2011 commissario straordinario all'Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia e, ancor prima, vicesegretario generale dell'allora Provincia di Reggio Calabria).

L'esito del procedimento disciplinare intentato, e sfociato nella sospensione, potrà comunque essere impugnato dai difensori della Sarlo davanti al Giudice del lavoro.

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Alessandra Sarlo è moglie del giudice Vincenzo Giglio – già presidente della Sezione Misure cautelari del Tribunale di Reggio Calabria, anche apprezzato scrittore –, condannato con sentenza irrevocabile a 4 anni e 5 mesi di reclusione per i rapporti col clan Lampada nell'àmbito del processo 'Infinito'. La stessa dirigente della MetroCity nel 2015 fu condannata a 2 anni di carcere per corruzione dal Tribunale di Catanzaro, in primo grado di giudizio, proprio in relazione alla controversa nomina quale dirigente esterno del Dipartimento regionale Controlli da parte dell'allora Governatore calabrese Peppe Scopelliti e quale commissario straordinario dell'Asp vibonese, incarico che avrebbe ottenuto grazie anche ai 'buoni uffici' dell'ex consigliere regionale cosentino del Pdl Franco Morelli. Il 26 gennaio scorso, la buona novella dalla Corte d'appello del capoluogo calabrese: proscioglimento, o meglio non luogo a procedere per via dell'intervenuta prescrizione del reato contestato, per l'esultanza dell'avvocato Giancarlo Pittelli, ex deputato di Forza Italia e legale della Sarlo.

Già due anni addietro, va detto, dopo la condanna in primo grado Alessandra Sarlo era stata sospesa dal servizio, come sancito anche in sede giurisdizionale dietro suo ricorso e caldeggiato dall'Anac (l'Autorità nazionale Anticorruzione), che nel parere n. 0183345 «concludeva che la Dirigente Dott.ssa Sarlo andava immediatamente sospesa», si fa presente nel provvedimento dell'Upd. Successivamente, con determina dirigenziale, la MetroCity decise di reintegrare in servizio la dirigente, «con riserva d'acquisire la sentenza integrale».

Ed ecco che, acquisita la sentenza integrale – e, nel frattempo, intervenuto anche il pronunciamento in seconda istanza –, il 3 luglio scorso l'Ufficio procedimenti disciplinari della Città metropolitana ha però aperto un nuovo procedimento disciplinare «connesso» (nota di contestazione n. 3820) in capo ad Alessandra Sarlo, poi audita il 24 luglio.

...Ma la dirigente non era stata prosciolta?

Il senso della decisione dell'Ufficio provvedimenti disciplinari di Palazzo Alvaro sta tutto qui: in Corte d'appello a Catanzaro non c'è stata assoluzione nel merito, ma – come abbiamo visto – un mero non luogo a procedere perché il reato era ormai prescritto. E in sentenza «il giudice conferma i fatti come giudicati e come poi contestati», si evidenzia nel provvedimento dell'Ente.

In particolare, come enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza 1768/2011, «...la sola sentenza penale, irrevocabile d'assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non l'ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento del dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima) pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudizato nel giudizio civile e/o amministrativo... mentre alle sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione... non va riconosciuta alcuna efficacia extra penale» e così in casi del genere – si fa presente –, stando alla Suprema Corte, il giudice civile o amministrativo dovrà «interamente rivalutare il fatto in contestazione».

Qui siamo davanti a un'evenienza di questo tipo, argomenta l'Upd: «Tenuto conto che la sentenza qui trattata è di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, non vincola quest'Upd, che deve procedere all'apprezzamento e rivalutazione dei fatti».

Tra le circostanze rammentate in decisione dall'Ufficio procedimenti disciplinari della Città metropolitana reggina, come sia stata respinta l'istanza di ricusazione; il processo ex art. 700 (danno temuto) azionato dalla dirigente e che però «s'è concluso con il rigetto»; e poi la contestazione della difesa circa la «riammissione condizionata alla ricezione della sentenza integrale» che però non tiene conto, stando all'Upd, del fatto che l'Ente «non poteva agire se non nell'unico modo in cui ha agito, ossia sulla necessità dell'esame della sentenza integrale della Corte d'appello passata in giudicato».

Ancòra, «risulta infondato il passaggio in cui si sostiene che la Commissione ha concluso il procedimento con verbale del dicembre 2016, stabilendo la sospensione dal servizio della dott.ssa Sarlo, bensì prendendo atto del provvedimento Anac e delle direttive impartite dall'organo di vertice responsabile anticorruzione dell'Ente». In caso contrario, «ovvero non prendendo atto del parere vincolante emesso dall'Anac e contravvenendo a quanto disposto, l'Ente si sarebbe posto su un piano di piena e manifesta illegittimità e illegalità, rischiando sanzioni», considerato che il parere dell'Autorità anticorruzione era stato trasmesso a Procura e Corte dei Conti.

Mentre, si fa presente tra l'altro, «nell'atto di difesa non viene presa posizione sui fatti».

Ma secondo l'organo presieduto da Paolo Morisani «la condotta del funzionario è connotata e assume rilevanza ai fini dell'agire per ottenere, come ottenuto, un incarico di rilevante importanza, interessando, in deroga e in violazione delle norme che regolano il corretto comportamento di un funzionario pubblico, soggetti istituzionali-politici e altri, ponendo in essere una condotta di corruzione al fine d'ottenere il ruolo ambìto, contravvenendo al sacro principio del "merito"». Il tutto configurerebbe insomma «gravi violazioni della condotta fondata sulla correttezza».

In termini di decisione si precisa che peraltro s'è «tenuto conto della denigrazione riversatasi in capo alla Pubblica amministrazione, i cui funzionari pubblici devono tenere condotte lineari» e che invece «la questione ha assunto rilievi in termini di 'clamor fori', incidendo sull'immagine della Pubblica amministrazione».

A seguire il pronunciamento (adottato peraltro il 19 settembre scorso), ossia i 4 mesi di sospensione di Alessandra Sarlo dalle funzioni e dallo stipendio.