Quello che rimane del servizio delle Iene sugli ospedali di Locri e Polistena

servizioieneospedalidi Isidoro Malvarosa - Domenica sera è andata in onda su Italia 1 la puntata dell'inchiesta 'Ospedali da incubo' de Le iene dedicata ai nosocomi di Locri e Polistena.
L'ennesimo reportage sulla Sanità calabrese, sospiro alzando gli occhi al cielo. Colleghiamo quasi automaticamente questa combinazione di parole a immagini di reparti fatiscenti, apparecchiature obsolete e personale carente.
In un misto di già visto ed 'è meglio non vederlo', decido di bypassare con slancio ogni condivisione del video che incrocio.
"Tipo che non lo sapevamo..." "Dovevano venire Le Iene a dircelo", sono i commenti più frequenti.
L'impotenza di chi ha la sfortuna di sapere come stanno le cose e la sicurezza che non cambieranno. Non fateci per giunta avvelenare il sangue.
Lascio passare del tempo per prepararmi mentalmente, un po' mi convinco perché il servizio è rilanciato da molte persone che stimo e in uno slancio di senso civico, prima ancora che di curiosità, decido di premere il tasto 'Play'.

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Si parte subito forte: "Io non curerei mai mia figlia nell'ospedale di Locri, perché non funziona", esordisce un chirurgo che in quell'ospedale... ci lavora e ci opera.
Dichiarazioni forti, ma niente che non sapevamo. Soltanto qualcuno che ha il coraggio di dirlo.
Le immagini e i commenti dell'inviato Gaetano Pecoraro procedono senza sosta ed è un susseguirsi di perdite copiose d'acqua dalle tubature, una sala operatoria degna di un ospedale di campo, assenza di estintori e porte di emergenza, ascensori tutti rotti tranne uno, fili elettrici a vista e ferro che fuoriesce dalle travi.
Ancora niente di trascendentale, nulla che tocca il nostro ormai indurito e desensibilizzato nervo dell'impressionabilità.
La scena surreale si presenterà solo sul finale.

Perché quello che alla fine colpirà di più nel servizio non sarà lo stato pietoso in cui versano le due strutture, l'assenza da cinque anni di un bilancio, il mancato funzionamento di tac e risonanza magnetica, la carenza di personale, la mancata nomina di primari e la completa autogestione dei reparti. Non è neppure quell'acqua che vediamo scendere a cascata dal tetto davanti alle porte di reparti che dovrebbero essere sterilizzati, né la sala operatoria priva dei requisiti minimi di igiene e nemmeno il foto-confronto tra i posti letto e le spese del Policlinico di Milano e quelli dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (912 posti e 430 milioni di uscite annue per il primo; 460 posti e 800 milioni di uscite per il secondo), sintesi impietosa e inappellabile della gestione fallimentare della Sanità in Calabria.

La cosa che colpisce di più è la parte conclusiva del filmato con l'inviato delle Iene placidamente seduto insieme, tra gli altri, al Direttore Sanitario, al sindaco di Locri e al capo dell'Ufficio tecnico in quella che doveva essere una riunione privata ed urgente dell'Unità di crisi dell'ospedale.

Una persona completamente esterna all'amministrazione lasciata libera, carte alla mano, di tempestare di domande e accuse tutta la dirigenza. Una scena cui il pubblico della trasmissione, tra porte sbattute in faccia agli inviati e spintoni alla telecamera, non è assolutamente abituato.

All'ospedale di Locri non ci hanno pensato né provato a metterlo alla porta la 'Iena' e il suo operatore.

Ed è stata una scena surreale, quasi una resa incondizionata in diretta televisiva.

Non deve essere facile lavorare in certi territori, dentro certi ambienti, subire certe pressioni, sapere magari di poterci rimettere la vita.
Si è morti di Sanità nella Locride e il ricordo dell'assassinio Fortugno deve essere pesante e presente per tutti.
Gli interessi in gioco sono tanti e la 'ndrangheta, in Calabria, guadagna con gli ospedali più che con la droga.

E il senso del servizio sta tutto in quelle immagini finali, un imbarazzo davanti ai numeri e alla realtà che è probabilmente una richiesta di aiuto.

Mai si erano visti dirigenti e medici balbettare, ammettere sconfortati la realtà, non provare a ribattere o trincerarsi dietro no comment e porte sbarrate.

Quello che rimane del servizio sono quegli occhi umiliati e gli sguardi abbassati di chi non può nulla. Persone 'di potere' di un'azienda pubblica che dovrebbero gestire le strutture che sono state loro affidate e che invece si rifugiano in qualcosa che va oltre l'omertà.

Una richiesta di aiuto non urlata, ma ancora peggio invocata con lo sguardo, di fronte alla quale la magistratura e lo Stato non possono più voltarsi dall'altra parte.

Anche a costo di affidare la gestione della Sanità calabrese ad amministratori svedesi scortati h24 dai militari.

Perché quegli ospedali, non deve essere inutile ripetercelo, non sono degni di un paese civile.